Il fisioterapista interviene nel trattamento precoce e nel lungo termine delle patologie reumatiche sia nell’adulto che nell’età pediatrica, in collaborazione con reumatologo, fisiatra e/o ortopedico, medico di base, insegnante di educazione fisica/allenatore al fine di favorire la risoluzione di condizioni dolorose acute, ridurre eventuali alterazioni/deformità muscolo-scheletriche, correggere vizi posturali, ridurre l’edema, migliorare la mobilità articolare e l’attivazione muscolare corrette, dare indicazioni di ergonomia (cura posturale, rieducazione del gesto, scelta di ausili/ortesi).
Le principali patologie trattate, attraverso la terapia manuale e l’esercizio terapeutico, sono: – artrite reumatoide – artrite idiopatica giovanile – artrite psoriasica – artrosi in fase infiammatoria/degenerativa – fibromialgia – spondilite – lombalgie – lupus – dermatomiosite – sindromi dolorose ed infiammatorie
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La Terapia Manuale Ortopedica (OMT) tratta e previene le patologie neuro-muscolo-scheletriche utilizzando approcci di trattamento altamente specifici, che includono tecniche manuali ed esercizi terapeutici.
Quando aiuta la terapia manuale? La terapia manuale può essere utile per: – Cefalee con contributi muscolo-scheletrici; – Mal di schiena, compreso problematiche inerenti al disco intervertebrale (p.e. ernia discale, discopatie); – Dolori e limitazioni funzionali della spalla (tendiniti, spalla congelata); – Alterazioni degenerative di anca, ginocchio, piede, spalla o colonna; – Neuropatie di varia origine, come sciatalgia, radiculopatie, sindrome del tunnel carpale; – Disturbi funzionali, da sovraccarico, post-traumatici, post-chirurgici; – Problemi funzionali del gomito (es. epicondilite), di tipo muscolare, muscolo-tendineo, articolare o neuropatico; – Disturbi funzionali del piede, come per esempio le tendinopatie dell’achilleo e recupero post-traumatico; – Disturbi funzionali e meccanici dell’articolazione temporo-mandibolare. disturbi funzionali legati a sindrome dolorose acute (come artrite reumatoide, artrosi in fase acuta)
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La terapia cognitivo-comportamentale ha alcune caratteristiche specifiche.
Pratica e concreta. Alcune tipiche finalità includono la riduzione dei sintomi depressivi, l’eliminazione degli attacchi di panico, la riduzione o eliminazione dei rituali compulsivi o delle malsane abitudini alimentari, la promozione delle relazioni con gli altri, e cosi via.
Centrata sul “qui ed ora: la terapia si preoccupa di attivare tutte le risorse del paziente stesso e di insegnare valide strategie essa è centrata sul presente e sul futuro.
A breve termine e orientata allo scopo. La psicoterapia comportamentale e cognitiva è più orientata ad uno scopo, lavora insieme al paziente per stabilire gli obiettivi della terapia, formulando una diagnosi e concordando con il paziente stesso un piano di trattamento che si adatti alle sue esigenze, durante i primissimi incontri. Si preoccupa poi di verificare periodicamente i progressi in modo da controllare se gli scopi sono stati raggiunti.
Attiva. Sia il paziente che il terapeuta giocano un ruolo attivo, il terapeuta cerca di insegnare strategie e il paziente, a sua volta, lavora al di fuori della seduta terapeutica per mettere in pratica ciò che ha appreso in terapia.
Collaborativa. Paziente e terapeuta lavorano insieme per capire e sviluppare strategie che possano indirizzare il paziente alla risoluzione dei propri problemi.
Scientificamente fondata. È stato dimostrato attraverso studi controllati che i metodi cognitivo-comportamentali costituiscono una terapia efficace per numerosi problemi di tipo clinico. È stato dimostrato che è efficace almeno quanto gli psicofarmaci nel trattamento della depressione e dei disturbi d’ansia, ma assai più utile nel prevenire le ricadute.
Per maggiori informazioni: Veronica Gobbetto info@sinergymed.it
Ci tengo a parlarne perché è un tema delicato, poco discusso e che ha forti conseguenze se non si riconosce e non si interviene. Purtroppo questa situazione viene accompagnata da profonda vergogna e senso di smarrimento nel provare sentimenti negativi. Ricordo ancora una giovane mamma che mi diceva: “ma che madre sono se provo queste cose? Non posso dirle a nessuno, sono orribile“. Il marito faceva del suo meglio ma non capendo ciò che stava succedendo le diceva “dai su esageri, vedrai che passerà “.
Sentirsi accolti, riconoscere i sintomi e usare modalità appropriate permette di intervenire gradualmente in una situazione che può essere risolta molto prima che assuma sfumature impegnative. Alcuni punti fondamentali sulle conseguenze:
la depressione trascurata tende ad automantenersi. Si può avere l’idea che il tempo farà superare il disagio. Considerazione errata. I sintomi si autoperpetuano e si intensificano.
la relazione madre-bambino può essere compromessa. Una mamma depressa guarda meno il bambino, lo culla meno e risponde meno alle richieste.
la relazione di coppia può vivere forti ripercussioni e percepire grandi carenze invece di considerarli cambiamenti fisiologici della coppia
provare vergogna e paura di non uscire da questo stato porta a non esprimerlo e chiedere aiuto.
Tutto questo può essere affrontato con conoscenze, consapevolezza e determinazione. E questi sono aspetti accessibili a tutti!
La Terapia Manuale Ortopedica (OMT) è una specializzazione della fisioterapia per il trattamento delle patologie neuro-muscolo-scheletriche, basata sul ragionamento clinico che utilizza approcci di trattamento altamente specifici, i quali includono le tecniche manuali e gli esercizi terapeutici, ed è guidata dalle prove di efficacia cliniche scientifiche disponibili e dalla struttura biopsicosociale di ogni singolo paziente.
Quando aiuta la terapia manuale?
Cefalee con contributi muscolo-scheletrici;
Mal di schiena, compreso problematiche inerenti al disco intervertebrale (p.e. ernia discale, discopatie);
Dolori e limitazioni funzionali della spalla (tendiniti, spalla congelata);
Alterazioni degenerative di anca, ginocchio, piede, spalla o colonna;
Neuropatie di varia origine, come sciatalgia, radiculopatie, sindrome del tunnel carpale;
Disturbi funzionali, da sovraccarico, post-traumatici, post-chirurgici;
Problemi funzionali del gomito (es. epicondilite), di tipo muscolare, muscolo-tendineo, articolare o neuropatico;
Disturbi funzionali del piede, come per esempio le tendinopatie dell’achilleo e recupero post-traumatico;
Disturbi funzionali e meccanici dell’articolazione temporo-mandibolare.
Disturbi funzionali legati a sindrome dolorose acute (come artrite reumatoide, artrosi in fase acuta).
Tuttavia, va osservato che la terapia manuale (TM) non è applicabile a tutti. Esistono una serie di controindicazioni da tenere presenti, tra cui alcune assolute come neoplasie, cauda equina, fratture e disturbi psicologici gravi o alcune relative come osteoporosi, danni neurologici e l’uso prolungato di corticosteroidi.
Ci sono tre modi per poter dire che la terapia manuale è efficace, tenendo conto dei suoi effetti biomeccanici, neurofisiologici e neuropsicologici:
quando parliamo di cambiamenti biomeccanici ci riferiamo a quelli che causano un miglioramento nella limitazione della mobilità;
tra gli effetti neurofisiologici contempliamo l’ipoalgesia locale, l’azione sul Sistema nervoso simpatico e parasimpatico, la diminuzione della percezione del dolore nel sistema nervoso centrale a fronte di uno stimolo doloroso ripetuto, il cambiamento nei mediatori infiammatori periferici e il miglioramento dell’esperienza dolorosa;
infine, gli effetti neuropsicologici come i miglioramenti dello stato emotivo conseguenti alla riduzione dei sintomi e la variazione positiva delle aspettative del paziente.
La tendinopatia laterale di gomito (LET) o “gomito del tennista” è la patologia muscoloscheletrica che più frequentemente colpisce il gomito.
Si
stima che il 40% degli adulti in un determinato periodo della loro
vita accuserà dolore laterale di gomito; in particolare la LET è
più frequente fra i 30 e 64 anni (picco 45-54 anni) con maggior
severità e durata nel sesso femminile. Interessa più spesso l’arto
dominante e la popolazione che svolge attività manuali pesanti,
movimenti ripetuti del braccio e del polso con notevole sforzo a
carico dei muscoli dell’avambraccio, del polso e della mano.
Tuttavia colpisce anche persone che lavorano in ufficio, anziani,
sportivi (tennis, squash, sport da lancio).
Viene comunemente definito “gomito del tennista”: in realtà solo il 10% dei pazienti con LET gioca a tennis (attenzione, tra i tennisti amatoriali è la tendinopatia più diffusa).
Quali
sintomi la caratterizzano?
L’insorgenza
della patologia è spesso insidiosa, con un iniziale fastidio nella
zona laterale del gomito che tende a peggiorare gradualmente e ad
accentuarsi soprattutto durante le attività di presa o il
sollevamento di oggetti (in particolare se a gomito esteso) fino ad
irradiarsi lungo l’avambraccio e la mano. Può essere presente
rigidità mattutina e gonfiore sulla parte esterna del gomito.
Il
termine tendinopatia indica la presenza di un problema a carico del
tendine, in particolare dei muscoli che estendono e supinano il
polso. Tuttavia la LET è con buona probabilità di origine
multifattoriale: sovraccarico, patologia locale del tendine,
squilibrio muscolare, alterata postura (per esempio del polso nel
caso di un tennista), patologia di spalla.
Come
riconoscerla?
La
diagnosi è prevalentemente clinica e si basa sul racconto del
paziente e sull’esame obiettivo. Per quanto riguarda invece la
diagnostica per immagini (ecografia e risonanza magnetica) gli studi
hanno evidenziato mancanza di correlazione tra il grado di
degenerazione tendinea e la gravità dei sintomi del paziente,
rendendo questi strumenti utili per escludere la patologia tendinea
piuttosto che per fare diagnosi.
È
importante la valutazione e un corretto inquadramento del paziente
perché la LET, se trascurata, può diventare una patologia
invalidante .
Come
si cura?
Il
trattamento conservativo rappresenta la prima linea di intervento.
L’esercizio
terapeutico
riveste un ruolo centrale nella riduzione del dolore e nel
ricondizionamento della struttura tendinea allo sforzo e alle
sollecitazioni quotidiane. Va personalizzato sulle caratteristiche
del paziente (età, professione, richiesta funzionale), sulla fase e
severità della tendinopatia. Può essere utile inserire esercizi di
controllo motorio per migliorare il gesto sportivo o modificare le
abitudini/posture lavorative riducendo così il rischio di future
recidive.
La
terapia
manuale,
tramite tecniche di mobilizzazione del gomito e, se necessario, della
colonna cervicale e toracica può essere utilizzata per ridurre il
dolore, migliorare l’escursione articolare e la funzione.
Per
la riuscita dell’intervento altrettanto importante è l’educazione
del paziente per favorire l’adesione al percorso riabilitativo:
rassicurare:
la condizione può migliorare con il riposo e col tempo;
informare:
evitare le posizioni mantenute e le attività dolorose, ridurre le
attività che richiedono una deviazione del polso, i movimenti
ripetitivi e gli sforzi eccessivi;
fornire
consigli posturali;
eventuale
uso di ortesi e bendaggi anche se le evidenze in merito sono
contrastanti e la letteratura non chiarisce quale tra le ortesi sia
più efficace.
Conclusione
Rivolgersi al fisioterapista il prima possibile risulta essere la scelta migliore per intervenire tempestivamente ed evitare un peggioramento e cronicizzazione dei sintomi.
Il Drenaggio Linfatico Manuale (DLM), o linfodrenaggio manuale, è una tecnica di massaggio utilizzata per favorire la circolazione dei liquidi (in particolare della linfa) nei tessuti e negli organi del corpo umano.
Il sistema linfatico è costituito da:
Linfa: un tessuto connettivo specializzato costituito dal liquido interstiziale, da linfociti e da macrofagi
Vasi: un complesso sistema che ha lo scopo di drenare i fluidi dallo spazio interstiziale dei tessuti ai vasi sanguigni.
Linfonodi: vere e proprie “cisterne” di raccolta e drenaggio della linfa che poi viene riversata nel sistema venoso .
Normalmente i liquidi vengono scambiati dai vasi arteriosi ai tessuti e organi dai quali ritornano attraverso i vasi venosi; le grosse cellule (proteine, batteri, virus ed altri “prodotti di scarto” del metabolismo) non riescono fisicamente ad essere raccolte dai capillari sanguigni e rimangono negli spasi interstiziali dove vengono raccolte dai vasi linfatici e trasportati dalla linfa. Da qui vengono drenati nei linfonodi, scambiati nuovamente con i capillari venosi ed eventualmente espulsi. La linfa scorre solo in direzione centripeta e il suo moto, a differenza di quanto avviene nel sistema cardiovascolare grazie al cuore, non è dato dall’azione di un unico organo motore; questo dinamico sistema di scambi avviene grazie al sistema nervoso autonomico ma anche dall’azione complementare di più componenti: motilità dei vasi linfatici-movimenti respiratori-contrazioni muscolari-pulsazioni arteriose-posture
Il DLM rappresenta il trattamento manuale elettivo per il trattamento dell’edema. Il quale viene classificato in primario (da cause genetiche) e secondario (da trauma, interventi chirurgici, infiammazioni, neoplasie, malattie reumatologiche, ustioni e cicatrici, insufficienza venosa). Nella pratica il fisioterapista specializzato nel DLM esegue una serie di manovre specifiche attraverso cui vengono meccanicamente stimolati la motilità propria dei vasi linfatici e la conseguente contrazione.
Il fisioterapista esegue manovre di pressione e spinta lineari e/o concentriche; la direzione e l’intensità della pressione dipendono dall’entità dell’edema. L’effetto può essere immediato e perdurare per qualche ora; la continuità delle sedute permette un notevole incremento della capacità di drenaggio e trasporto del sistema linfatico, dovuto all’azione meccanica indotta dalle manovre del fisioterapista e dalla formazione di nuove anastomosi (ovvero collegamenti) a livello della microcircolazione linfatica. Un ulteriore effetto del DLM è la riduzione del dolore avendo un effetto diretto sulla conduzione del dolore in quanto favorisce l’attivazione delle cellule che inibiscono tale sintomo. Inoltre agisce sul sistema parasimpatico attraverso un meccanismo di inibizione del tono muscolare e miglioramento del trofismo tissutale motivo per cui, assieme agli altri benefici sovracitati, il DLM può essere un valido strumento per il fisioterapista nei pazienti con patologie croniche infiammatorie.
Gli ambiti di maggior impiego del DLM sono sicuramente gli edemi primari e secondari da patologie neolpastiche (ad es. negli esiti di mastectomie). Grazie ai suoi benefici a favore della riduzione dell’edema e del dolore e sul ripristino della motilità tissutale (ottimo per ridurre le aderenze cicatriziali) risulta essere utile in molti ambiti “ortopedici” e “sportivi”: nelle prime fasi di infortuni o traumi (come distorsioni di caviglia e ginocchio), nell’immediato post chirurgico (come protesi, ricostruzione cuffia dei rotatori nella spalla, correzione alluce valgo, microchirurgia della mano), nel recupero muscolare da lesione o sovraccario, nel trattamento specifico di ferite e cicatrici.
Il trattamento prevede sempre l’indicazione per il paziente all’attività fisica (per favorire la stimolazione muscolare e degli atti respiratori sui vasi linfatici), alla cura delle posture (per favorire lo “scorrimento” della linfa dalla periferia ai linfonodi) e dell’alimentazione (obesità e diabete sono tra i principali fattori di rischio ed aggravanti il linfedema)
Nei casi più gravi di insufficienza linfatica il DLM viene associato a bendaggi “compressivi” al fine di mantenere e perseverare l’effetto manuale del DLM
Le controindicazioni sono minime: in caso di patologia neoplastica o infezioni in atto è d’obbligo contattare il medico di riferimento per confrontarsi sul caso e sulle precauzioni da prendere.
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Oggi parliamo del blocco lombare acuto , comunemente noto come ‘colpo della strega’
Eccoci per un nuovo appuntamento con la gestione “da quarantena” di eventuali problematiche fisiche che ci potrebbero capitare. Stavolta parliamo del blocco lombare acuto , comunemente noto come ‘colpo della strega’ (‘crep de vita’ per la gente della zona!).
Siamo a casa da un po’ ormai, e la “sindrome da divano” è sempre in agguato, soprattutto per chi si fa attrarre dalla seduzione della pigrizia e non ascolta (e guarda) i consigli di Erika, Cristiana, Michele e Stefano!
Il mal di schiena acuto è stato (ed è) lungamente dibattuto, e non sarà certo in poche righe che se ne potrà fare chiarezza. Quello che ci preme oggi però, è dare alcuni consigli utili per affrontare un episodio violento, e magari molto doloroso in un periodo in cui uscire di casa per andare dal medico o ancor meglio al pronto soccorso è una cosa da evitare il più possibile. La prima e più importante cosa da sapere è che l’intensità del dolore raramente corrisponde ad una effettiva gravità della patologia
Questo concetto varrà anche per altre patologie e altre strutture, e ne parleremo più approfonditamente in una serata informativa che si terrà presso il nostro studio appena l’emergenza sarà passata, ma soprattutto per quanto riguarda la schiena è un concetto valido e da tenere presente.
Quindi che fare?
Innanzitutto è importante sapere cosa non fare!
Salvo eventi traumatici violenti (o pochi altri casi eccezionali) sarà improbabile ci sia una frattura, quindi una radiografia non serve! Ci sono comunque una serie di segni d’allarme che possono farci sospettare qualcosa, ma di solito è inutile.
Anche in casi traumatici NON si sposta niente, non c’è nulla che vada fuori posto, quindi nessun allarmismo anche per questo. Eventuali blocchi che si possono verificare sono risolvibili anche a distanza di qualche giorno o settimana.
La risonanza magnetica e la Tac NON sono una terapia, quindi salvo emergenze è inutile farle in fretta.
E quindi?
Beh, anche al telefono si possono fare alcune domande utili a riconoscere i seppur rari segni di gravità, e poi in base a quello che ci viene raccontato si possono dare alcuni consigli utili a gestire la fase acuta, molte volte volte anche senza l’ausilio di farmaci.
“Ma devo stare a riposo?” “Meglio stare fermo?”
In genere no. Nella maggior parte dei casi è preferibile il riposo attivo, cioè muoversi nel rispetto del dolore. Se il dolore è fortemente invalidante e/o aumenta col movimento ovviamente comanderà lui, ma per tutto il resto è bene cercare di muoversi il più possibile e più spesso possibile.
Logicamente anche gli sforzi sono da evitare, ma se stiamo attenti e ci ascoltiamo, il limite di quello che possiamo o non possiamo fare ce lo racconterà il nostro corpo
Quindi nessun allarmismo, anche se il dolore è tanto! Chiamateci pure e cercheremo di fare al telefono tutto quello che possiamo.
La distorsione alla caviglia è molto frequenti, nello sport come nella vita di tutti i giorni. Possono essere inizialmente molto dolorose (anche a riposo), si osserva la presenza di edema intorno alla caviglia, talvolta ematoma nelle ore successive e difficoltà a mantenere il carico.
Nell’immediato è consigliabile:
l’applicazione di ghiaccio (per 5-10 minuti, ripetuto più volte al giorno),
un bendaggio compressivo,
elevazione dell’arto,
riposo ed eventualmente l’utilizzo di stampelle se il dolore impedisce l’appoggio.
Sono invece sconsigliati il massaggio e gli impacchi caldi perché potrebbero aumentare il gonfiore e il dolore.
La distorsione alla caviglia richiede una adeguata valutazione e trattamento per una corretta guarigione al fine di evitare l’instaurarsi di rigidità, instabilità ed eventuali recidive.
Non esitate perciò a contattarci, vi sapremo fornire indicazioni e consigli per affrontare al meglio la situazione.
Il 4 marzo è la giornata mondiale del Tennis, un gioco dalle origini antiche e uno tra gli sport più diffusi a livello mondiale. Approfittiamo di questa giornata per condividere con voi 10 curiosità, che forse non conoscete, su questo sport.
1 CHI HA INVENTATO L’ORIGINALE PUNTEGGIO DI UN MATCH DI TENNIS. Il modo di conteggiare i punti nel tennis risale probabilmente al Medioevo.
Infatti, sebbene il gioco del tennis sia nato ufficialmente in Inghilterra nel 1887 col primo torneo svoltosi a Wimbledon, nel Medioevo esistevano già giochi simili anche qui in Italia (pallacorda) e in Francia (jeu de paume).
Una possibile spiegazione del conteggio dei punti è quella delle “cacce”, dei segni che venivano fatti sul campo da gioco ogni volta che la palla si fermava: quindici cacce formavano un punto, per cui il primo punto era quindici, il secondo trenta e il terzo quarantacinque.
2 PERCHÉ LE PALLINE DA TENNIS SONO RIVESTITE DI FELTRO La copertura in feltro permette un miglior controllo del colpo da parte del giocatore: se non ci fosse, la palla schizzerebbe via in modo incontrollabile, mentre grazie a essa le corde della racchetta fanno presa sulla palla, comprimendola e consentendo al tennista di impostare il colpo desiderato e di accentuare gli effetti.
Il feltro, inoltre, permette di aumentare la resistenza all’aria della palla, diminuendone la velocità e riducendone il rimbalzo. Quando infatti si usano palle consunte e prive di peluria, al momento del rimbalzo tendono a scivolare via sulla superficie del campo.
3 LE PALLINE DA TENNIS SONO GIALLEO VERDI Le palline in realtà non sono né gialle né verdi ma hanno un colore particolare ed il suo nome specifico è “hi-vis yellow” (cioè giallo ad alta visibilità). Dal momento che le palline da tennis vanno molto veloci e sono piccole, questo colore aumenta la visibilità, soprattutto per gli spettatori da casa.
4 COSA SIGNIFICA “LOVE” Perché il punteggio non è “zero” ma “love”? In realtà, qui è tutta colpa di qualche inesperto traduttore.
Come abbiamo detto all’inizio, in Francia si giocava a pallacorda, un gioco considerato l’antenato del tennis. In francese si dice spesso “l’oeuf” per indicare il numero 0, per via della forma dell’uovo. Quando in Inghilterra venne inventato il Tennis così come lo conosciamo, venne mantenuto il termine oeuf per lo zero ma venne storpiato con la parola più simile in inglese, cioè love.
5COSA SIGNIFICA DEUCE La maggior parte di noi crede che voglia dire pareggio, in realtà, come per il caso di Love, anche qui c’è un errore di traduzione. “Deuce” significa “doppio”, cioè il doppio punto che deve fare uno dei due giocatori per portare a casa il game durante la fase dei vantaggi.
6 QUANTO È DURATA LA PARTITA DI TENNIS PIÙ LUNGA Dal momento che il tennis si basa non sul tempo ma sul numero di set e game vinti, una partita può durare fino all’infinito. Lo sanno bene Isner e Mahut che durante Wimbledon 2010 hanno disputato la partita da record mondiale: è durata 11 ore e 5 minuti, suddivise in tre giorni diversi a causa del buio.
7 IL TENNISTA CHE HA TIRATO IL SERVIZIO PIÙ VELOCE Ad oggi il record del servizio più veloce è di Samuel Groth, tennista australiano conosciuto soprattutto per la grande potenza dei colpi. Il servizio più veloce della storia è stato conseguito durante il Challenger di Busan (Corea del Sud) nel 2012 quando servì una prima alla incredibile velocità di 163.4 miglia (equivalenti a poco meno di 263 Km/h)
8 LA RACCHETTA SPAGHETTI Nel 1976 Edwin Fisher inventa la racchetta con accordatura doppia. Questa racchetta aiutava a dare colpi più forti e a giocare una palla liftata, dal momento che era difficile indovinare la traiettoria che avrebbe preso la palla. Fino a quel momento non esisteva una regolamentazione per le racchette da tennis che si potevano utilizzare nei tornei ufficiali: questa racchetta fece un sacco di scalpore perché una volta che la palla toccava terra era praticamente ingestibile.
9 GAMBE SCOPERTE Se si pensa al tennis subito ci salta alla mente la tenuta: pantaloncini corti! Il primo ad adottare questa tenuta fu Bunny Austin che durante il torneo internazionale del 1933 Forest Hill (il nostro Us Open) indossò gli shorts. Fu talmente invidiato da tutti i giocatori per la sua tenuta comoda che da quel giorno fu adottato da tutti!
10. PERCHÉ I TENNISTI CONTROLLANO LE PALLINE PRIMA DI SERVIRE Piccoli segni di logoramento sulla superficie della palline possono influenzare negativamente uno scambio facendola volare in una direzione imprevedibile o facendole perdere la regolarità di rimbalzo sulla superficie del campo. Il tennis è uno sport in cui anche il più piccolo cambiamento può cambiare l’inerzia di un match. Per questo molti tennisti tendono a scartare la pallina appena battuta durante i propri turni di servizio.